Nel corso dello scorso anno scolastico molti genitori hanno protestato per le fiabe gender che vengono lette nelle scuole. Ma, in realtà, è da tempo che si cerca di deprivare i bambini delle vecchie e care fiabe della nonna...
C’erano una volta... fiabe e favole.
Cullavano i sogni dei bambini, fornivano utili insegnamenti per la vita, e, soprattutto, servivano a operare la distinzione tra il bene e il male.
Anche se in origine erano rivolte ad adulti – nel senso che in epoche senza radio, giornali e TV venivano narrate per trascorrere le ore in cui non si lavorava – man mano, espunti certi connotati sanguinari e violenti, sono diventate patrimonio dei bambini.
Poi sono arrivate le ideologie post-Sessantotto e nulla è più stato lo stesso. Come fossero artigli, queste hanno iniziato a ghermire le povere storie, stravolgendo significati, introducendo variazioni, demolendo personaggi, e inventando persino altre trame se le storie originarie non si prestavano a scopi ideologici. Hanno iniziato le femministe (che, in verità, non hanno mai smesso), affermando che le eroine delle fiabe sono espressione della sottomissione della donna ad un mondo fatto da e per gli uomini. Le critiche, nel tempo, si sono sprecate. Venivano (e vengono) considerate stereotipi sessisti: la bellezza delle principesse (perché? il principe è forse inguardabile o appena passabile?); la rivalità tra donne (vera, ma altrettanto vero è che non tutti gli uomini nelle fiabe brillano per comportamenti lodevoli...); le virtù femminili delle principesse, dalle più interiori, come la mitezza, a quelle esteriori, come il bel canto (perché? I rispettivi principi sono forse scienziati o manager di successo o avvocati di grido?).
L’Associazione Hubertine Auclert, ultima in ordine di tempo, ha sottolineato, per l’ennesima volta nella storia del femminismo, che Cenerentola & compagnia bella hanno sempre bisogno di un uomo che venga a salvarle. Colpa grave, gravissima per i fanatici di un femminismo dove non ci può essere aiuto tra i sessi (perché non intendere in questo senso la dinamica del principe che salva e della principessa salvata?), ma solo autonomia e indipendenza reciproca.
Da tempo è così iniziata la rivisitazione delle fiabe tradizionali.
Nel 2008, per esempio, è uscita una nuova versione de La principessa sul pisello di Andersen. L’autrice, Octavia Monaco, ha proposto una principessa con un carattere più forte e un lieto fine diverso, ovviamente all’insegna del femministicamente corretto, come si può intuire già dalla presentazione del testo sul sito della casa editrice, Orecchio Acerbo: «La Principessa di Octavia Monaco, acuta e indipendente, scopre il tranello e sceglie la via della libertà. Riuscendo a vivere davvero felice e contenta. Ma libera. Fuori dalle mura del castello, lontano da un Principe che proprio non la meritava».
Nemmeno Rapunzel ha più bisogno del principe: in La principessa salvata dai libri di Wendy Meddour e Rebecca Ashdown, la celebre lunghicapelli al principe preferisce una lettera di assunzione in una biblioteca.
Non ci sono solo fiabe rivisitate, ovviamente: agli scopi ideologici, di solito, servono anche nuove di zecca. Così, in Spagna, per citare un solo esempio, al tempo di Zapatero, hanno presentato La principessa differente, in cui la protagonista, chiamata Alba Aurora, accettava il principe – del quale, ovviamente, anche lei non aveva bisogno – solo come amico per fare un giro in moto lungo la Muraglia Cinese.
Poi è arrivato l’animalismo, che è cosa diversa dalla cura del Creato. Ideologico tanto quanto il femminismo, anche l’animalismo mette sotto accusa le fiabe tradizionali. L’Aidaa, un’associazione animalista, se l’è presa con Cappuccetto Rosso, con queste parole: «...è arrivato il momento di riscattare a tutti i livelli il nostro amico lupo a partire dalla necessità di togliere dagli scaffali di tutte le librerie, le biblioteche pubbliche, scolastiche e private quell’orribile fiaba che si intitola Cappuccetto Rosso, nella quale si paragona la figura del lupo a un animale cattivo e privo di scrupoli che non si fa problemi a mangiare la nonna per arrivare poi a mangiare la tenera carne di cappuccetto rosso».
A dire il vero, altri animalisti si dissociano spesso dai comunicati “pittoreschi” di questa associazione. Tuttavia, non si può negare che esiste un filo di ribel- lione animalista contro questa fiaba, se ne circolano versioni rivisitate, come Vera storia di Cappuccetto Rosso e lupo Pupo di Michele Pezone e Fabio Mafalgia e Cappuccetto Rosso Animalista di Alessandra Catalioti, entrambe in difesa del lupo. In realtà, Cappuccetto Rosso è solo la rappresentazione allegorica dell’incontro con il male, che spesso si presenta sotto mentite spoglie. Nessuno che abbia pieno possesso delle sue facoltà razionali attribuisce al lupo caratteristiche di cattiveria umana: è giusto notare, tuttavia, che questo animale può rappresentare un pericolo per l’uomo, in determi- nate circostanze, e questa non è ideologia, è realtà.
Ma al sostenitore dell’–ismo la realtà non è mai interessata. Ora, invece, è la volta dell’ideologia gender, che è stata più volte denunciata da ProVita anche in rapporto all’uso delle fiabe.
Specifichiamo che, in realtà, studi di genere sono anche quelli femministi, ma con l’espressione gender ci si riferisce ormai a quell’ideologia che predica la scomparsa dei generi maschili e femminili non più in funzione femminista ma per approdare ad un mondo “gender-fluid”, in cui maschile e femminile diventino intercambiabili, scomponibili, sovrapponibili, etc. Ancora una volta alla sbarra finiscono le fiabe tradizionali colpevoli di promuovere solo l’amore tra uomo e donna e, quindi, di considerare esclusivamente l’esistenza ben differenziata del genere maschile e di quello femminile. Così, ecco una sfilza di fiabe e favole pronte ad “educare” i bambini a considerare l’esistenza di altri generi, dei rapporti omosessuali, di “famiglie” diverse da quella naturale, di pratiche quali l’utero in affitto o la fecondazione eterologa.
I titoli? Dal Piccolo uovo, a Perché hai due mamme?, a Il matrimonio dello zio (tutti in catalogo dello Stampatello editore), alla storia di Zaff che sarà La principessa col pisello.
«Qualcuno, superando il grottesco – ha scritto Carlo Cardia su Avvenire – vuole insinuarsi nei momenti più intimi della vita familiare, quando i genitori sussurrano e raccontano ai bambini fiabe e allegorie, che parlano di tutto, del mondo della natura, di animali, principi e principesse, entità fantasiose, per accostare la mente dei più piccoli al mondo ricco e complesso che li attende. Si cerca di intromettersi in quegli attimi speciali del rapporto tra figli e genitori, nei quali affiorano i primi sentimenti e pulsioni psicologiche... e il bambino avverte che il papà e la mamma sono lì per aiutarlo a crescere, affrontare le cose belle e brutte della vita. Sono piccoli momenti magici... proprio qui cerca d’insinuarsi una specie di dottor Stranamore dell’antropologia per offuscare, deformare, quanto di bello e spontaneo nasce e cresce nel linguaggio che unisce genitori e figli» (23 febbraio 2014).
Che le ideologie – insomma – lascino in pace il vibrante mondo fantastico di fiabe e favole, intessuto di significati più alti di quelli oggi loro attribuiti: papà e mamme ringrazieranno, i bambini anche di più.
Claudia Cirami
Fonte: Notizie ProVita, dicembre 2015, pp. 14-15